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30 lettera di giuseppe spada

mortificare acerbamente, non dai soli inesperti, ma dagli uomini pur anco che avevan fama di assennati, in somma oserei dire, poco meno che da tutti. Parlo sempre del 1847, perchè nel 1848 incominciò ad essere altra cosa, e la rivoluzione, essendosi in quell’anno tolta apertamente la maschera, e fatte vedere le sue tendenze, molti e molti illusi andavansi ricredendo.

Nel 1849 poi, giocandosi, come suol dirsi, a carte scoperte, chi non si ricredette allora, aveva, o la mente irreparabilmente esaltata, o il cuore guasto e corrotto.

Ma l’anno 1847 fu l’anno fatale, quello fu l’anno in cui tutti, uomini, donne, vecchi, giovani, civili, militari, e taluni anche ecclesiastici, perduta avevano la carta del navigare, e caduti in una aberrazione pressochè universale, prepararono alla rivoluzione quel facile trionfo che doveva attendersene, e che difatti nei due anni successivi potè conseguire.

Queste considerazioni raggiravansi nella mia mente, allorquando divisai, ove mi venisse fatto di campare dai pericoli che sovrastavanci, il piano di raccogliere quanti documenti avessi potuto rinvenire della catastrofe, in cui trovavamci involti; e facendo tesoro di tutto, tutto coordinare, descrivere ed istudiare, per tirarne partito a vantaggio dell’umanità. Amore dei miei concittadini, carità di patria, culto del giusto, del vero, dell’onesto, abbonimento radicato in me fin dalle fasce, per tutto ciò che sente d’ipocrisia o di tirannia, sia dal basso o dall’alto che venga, ecco i moventi che ad intraprendere mi spronarono un’opera improba, ardua, spinosa, ed alle mie forze inadeguata.

Ma, se non mi verrà dato, io diceva, di ridurla a compimento, avrò sempre aperto la strada ad altri di me più valoroso e fortunato. E così fu che mi accinsi animosamente ad affrontare le difficoltà tutte, che incontratele poi, lungi dallo scorarmi, m’imprimevano nuova lena e coraggio, e m’infervoravano a vincerle e superarle.

E mentre io affaticavami alacremente in siffatto arringo, sentivami dire da taluni, costituiti ben anco in seggi eminenti, che io perdeva il mio tempo. E chi dichiaravami che simili insensatezze non valeva la pena che venisser raccolte. Altri, che delle passate enormità e sconcezze dovevasi distruggere per fino la traccia, affinchè non ne sopravvivesse lo scandalo. Nè mancavano di quelli che consigliavano essere preferibile la prudenza conserta colla tolleranza e doversi astenere dal provocare sdegni