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l’Italia che apertamente andavasi gridando, significava ben altro che evviva il papato. Era ormai divenuto a tutti palese qual fosse il carattere della romana agitazione, e de’ suoi non contrastati trionfi.

Raccontò il giornalismo con frasi entusiastiche la festa alla Farnesina,1 e ne parlò freddamente, secondo il solito, e con tinte pallide e slavate il giornale officiale;2 ma tanto i giornali della rivoluzione, quanto quello del governo, si astennero dal parlar delle grida per parte della soldatesca. Gli uni per astuzia onde non far conoscere agli esteri il sentiero sdrucciolevole su cui si camminava; l’altro poi per decoro, per prudenza, e diciamolo ancora per paura, usò le sue reticenze. E così, a forza di malizia i primi, di riguardi e prudenza il secondo, si venne, a concimare ben bene quel terreno che produr doveva i suoi frutti nell’anno 1848.

Continuarono nel mese di ottobre le passeggiate militari ed i banchetti della guardia civica, essendo quella l’epoca più favorevole per cosiffatti divertimenti.

Incominceremo dal parlare del lauto banchetto dato dal principe Doria ai militi del nono battaglione, di cui era colonnello, nella sua villa fuori la porta san Pancrazio, in quella villa stessa ch’esser doveva, men che due anni dopo, teatro di sanguinosi combattimenti, e dove quel Luigi Masi che improvvisò al banchetto come poeta, figurar doveva come colonnello di una legione di repubblicani nel 1849.3

Proseguendo per ordine di data rammenteremo quello che il giorno 12 si dette a monte Mario, e nel quale figurarono molti officiali. Furonvi poesie del Masi, e di Ottavio Gigli, e si parlò perfino del progetto di un casino militare.4


  1. Vedi la Pallade, n. 77; — Vedi il Contemporaneo del 9 — Vedi il Documento n. 69 vol. III.
  2. Vedi il Diario di Roma, del 9.
  3. Vedi la Pallade, n. 79.
  4. Vedi la Pallade, n. 84.