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366 | storia |
Rientrando le milizie tutte in città per la vìa del Corso, ecco illuminarsi a giorno ogni casa; giacchè in quei tempi ciò che uno faceva tosto veniva imitato dagli altri. Applaudivano pure le soldatesche, quasi che fossero in uno stato di ebrietà, applaudivano i cittadini dalla strada, dai balconi, dai tetti e fu quello per fermo un colpo d’occhio veramente magnifico. I dragoni a cavallo poi con gli squadroni sfoderati agitavanli e rotavanli in aria in segno di feste e gridavano: «Viva l’Italia.» Bello era quel fragor delle armi, il balenare delle amiche spade, e le vicendevoli e festose accoglienze.
Questo, per ciò che si attiene allo spettacolo; ma, se vogliasi riguardare la cosa dal lato morale, sembrò a molti che fosse uno sbaglio madornale quello di aver permesso un cosiffatto affratellamento, inconsapevole senza dubbio il papa stesso dello spirito che dar si voleva alla dimostrazione; imperocchè il permettere e favorire l’affratellamento della truppa coi cittadini equivale ad annientare la forza pubblica, e senza forza pubblica nè ai reggono gli stati composti a ordine nè si difendono i diritti patrî, se minacciati da estere violenze. Ciò insegnaci la storia, da che se ne hanno memorie scritte.
Che se si ammettesse alla truppa stanziale di potere far causa comune, e stringersi le destre, e baciarsi scambievolmente col popolo, si verrebbe insensibilmente a distruggere qualunque forza, a paralizzare la libera azione dei governi. Essi allora non oserebbero bandire ordini severi, e commetterne alla truppa la esecuzione, per tema di non essere obbediti, o banditili, sì vedrebbero esposti al grave cimento di veder truppa e popolo far causa comune.
Aggiungasi pertanto questo nuovo esperimento che il governo fece dello spirito che andavasi svolgendo, con quelli di cui demmo un cenno al principio di questo capitolo, e dovrà convenirsi che il governo non aveva di che andar lieto, vedendo il colore deciso che a poco a poco ogni dimostrazione era andata assumendo, perchè il viva