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364 | storia |
ad omnes venerabiles fratres episcopos die nona mensis novembris superiori anno datis, haud omiserimus inculcare debitam erga principes et potestates obedientiam &.»
Se queste parole fossero state tradotte e divulgate, forse avrebber trascinato qualcuno di meno a farsi illudere, perchè sono tutt’altro che incoraggianti a rivolture, e possono applicarsi non solo ai popoli italiani, ma a tutti i popoli del mondo.
Diciamo ciò perchè, ad omaggio della verità, ci sarebbe piaciuto che fosser divulgate e diffuse popolarmente, allo effetto di disingannare molti e molti ai quali si era fatto credere maliziosamente che il papa fosse in certo modo quasi incoraggiatore delle sommosse anti-austriache, mentre i suoi atti dal primo all’ultimo son sempre consentanei, ed egli tutte le volte che ha parlato sia come papa, sia come principe temporale, mai non ha deviato, neppure unistante, dai doveri impostigli dalla sublime sua missione.
Il giorno 5 ottobre giunse in Roma il conte Carlo Pepoli. Il medesimo, durante il governo provvisorio in Bologna nell’anno 1831, si era trovato al fianco di Orioli e Mamiani, e quindi era uno degli eccettuati dall’amnistia di quei tempi.1
In questa epoca di cui trattiamo, tutto era ancor soggetto di festa e di dimostrazione, e quindi anche le produzioni teatrali ne porgevano l’occasione.
Rappresentavasi nel teatro Argentina la musica del maestro Verdi intitolata Ernani la sera del 6 ottobre, quando, giunti a quelle parole di Carlo V: «Perdono a tutti, (mie brame ho dome). Liberi siate, v’amate ognor: A Carlo Magno sia gloria e onor», furono istantaneamente scambiate sostituendovi: «Al nono Pio sia gloria e onor.» A questo cambiamento inaspettato si ebbero applausi infiniti e grida, e sventolar di pannilini. Ciò si ripetè pure nelle sere successive. 2