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dal conte di Castagneto nei comizi agrari di Casale,1 non che la dimostrazione colossale che in ispreto degli ordini del governo si fece in Torino il primo di ottobre.2 Tutte queste manifestazioni eran di sì grave momento, che considerate unitamente, convincer dovevano anche gli ottimisti a riconoscere che non trattavasi più di semplici miglioramenti e di riforme, ma sì bene di rivoluzione italiana alla quale Roma aveva servito di leva, e punto di appoggio.

Non dubitiamo anzi di asseverare che tanto il Santo Padre quanto il suo primo ministro ne fosser seriamente impensieriti e preoccupati, conoscendo entrambi non esservi più forza umana capace dì allontanare la tempesta che addensavasi sulla italica penisola.

Ed eran le cose giunte a tale, che sebbene il Santo Padre avesse quasi toccato con mano che l’Italia tutta era simile ad una crosta vulcanica, e sapesse che quella scintille, che uscivan dalla cenere che ricuoprivala, erano scintille prenunziatrici di quel fuoco d’indipendenza, che avrebbe poscia minacciato di ardere anche il papato, pur tuttavia trovavasi talmente compromesso per la intempestività delle mosse austriache, che non solo non poteva indietreggiare, ma doveva perseverare in quella sdegnosa fermezza rivendicatrice dei propri diritti; la quale mentre per lui era dignitosa e necessaria, confermava e corroborava quei sensi di ostilità manifesta che già esistevano verso gli Austriaci, e somministrava esca novella al fuoco distruggitore. In una parola se il papa avesse voluto, come altre volte, ricorrere all’Austria per aiuto e soccorso, doveva in questa far sembiante invece di porsi in braccio ed affidarsi alla tutela dei liberali.

Ciò si rileva dalla lettera che il primo di ottobre diresse il cardinal Ferretti a monsignor Viale Prelà nunzio pontificio in Vienna, la quale lettera è riportata dal Farini.3


  1. Vedi il Ranalli, vol. I, pag. 270 e 271.
  2. Vedi il Ranalli, vol. I, pag. 341.
  3. Vedi Farini, Lo stato romano, vol. I, pag. 236.