Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. I).djvu/351


della rivoluzione di roma 341

blica, l’assentarsi dagli uffici per necessità o per abuso era divenuto una cosa ovvia.

Nè avevasi il coraggio dai capi di ufficio di fare rimostranza veruna, perchè sarebbesi loro risposto: «che così voleva la salute della patria,» e avrebber corso rischio di porgere al giornale la Pallade il pretesto di punzecchiarli coi suoi pungenti articoli, e designarli alla pubblica riprovazione. Pareva in somma che si volesse imitare quegli stoici, i quali, mentre segavansi lor le gambe, affettavano tranquillità, e si vantavano di non sentir dolore. Così coloro i quali sentivan pur troppo avversione a quel turbine che tutto e tutti travolgea ne’ vortici suoi, se ne mostravan contenti, e dichiaravano anzi che quello scompiglio era una bella cosa; e per tal modo permettendo tutto o per prudenza o per paura, non tanto si tacevano, quanto facevan mostra di allietarsene. Questa fu la vera condizione di Roma.

Coll’aver trattato nei capitoli XVI e XVII dei circoli e del giornalismo, abbiamo inteso di spargere qualche luce su questo argomento importantissimo, che nelle varie storie sulle nostre vicende non ci parve abbastanza chiarito, e riteniamo che coll’esserci addentrati in simili investigazioni, avremo schiuso meglio l’adito a conoscere la verità. Chi scrisse prima di noi, pur volendolo, non avrebbe potuto farlo per iscarsezza di quei documenti che agli nitri mancarono, mentre noi ne siam forniti a dovizia. Egli è coll’esame accurato di tutte quelle notizie che andammo o andremo somministrando, che potrà formarsi un giusto criterio di tutto. E allora non recherà meraviglia se vedemmo che la macchina che volea riformarsi, cadde in precipitosa rovina.

Sarà colpa forse della nostra ignoranza, ma non possiamo comprendere come col bitume e lo zolfo, e senza un buon cemento possa innalzarsi un edificio; e così, come col giornalismo, coi circoli, e coi banchetti, e senza il sussidio della religione (come pretenderebbesi dai rivolu-