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discorso preliminare | 23 |
che più monta, dei sentimenti di carità universale, di giustizia, e di beneficenza in grazia dei quali l’Europa, non solo, ma il mondo tutto, possiede l’attuale suo incivilimento.
Ma gl’Italiani in genere, ed i Romani in ispecie van debitori di altro vantaggio segnalatissimo verso il papato; imperocchè senza di esso l’Italia da lunga pezza avrebbe perduta interamente la sua indipendenza, e sarebbe divenuta preda dei cupidi suoi protettori, sia Francesi, sia Tedeschi, sia Spagnuoli, che hanno sempre più, o meno, se non mirato a dominarla, ad ingerirsi nelle cose sue.
Lasciando in disparte i secoli anteriori al medio evo, i quali ci provano che i popoli del nord hanno sempre fatto all’amore coll’Italia per conquistarla e piantarvi lor sede; e venendo ai tempi a noi vicini, ci si para d’innanzi l’imperatore Carlo V, che nel suo desiderio di fondare una monarchia universale, permise il sacco di Roma nell’anno 1527, sacco che venne eseguito con modi sì barbari e disumani, da disgradarne quelli degli stessi Unni, dei Goti, e dei Vandali.1 Trasfondevansi poscia gli ambiziosi desiderî di Carlo V nel suo figlio Filippo II, che forse avrebbe tentato di realizzarli, se non avesse incontrato quel petto di bronzo e quell’anima fiera che Dio ci diè in Sisto V, al quale riuscì di sventare i progetti del sire di Spagna. Dopo di ciò, Austria, Francia, e Spagna vagheggiarono sempre mire ambiziose sull’Italia, e se le compressero in petto, non si deve che, o al rispetto, o al timore del papa. Al principio di questo secolo venne conquistata l’Italia dalle armi francesi, e l’Austria spiava forse il momento in cui la vagheggiata conquista fosse sfuggita dalle mani dei Francesi, per farla sua, e senza la disfatta di Marengo, che venne a sventare i suoi progetti, chi sa se Pio VII sarebbe riuscito a prendere possesso dei pontifici domini, dopo la sua elezione.