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discorso preliminare 17

derivano dall’organamento interno degli stati, dalle loro relazioni esterne, dal loro grado di cultura, dalle industrie dai commerci, e dalle arti e mestieri, cui si dedicano le popolazioni; e siccome il mondo tende a ingentilirsi e migliorarsi materialmente, la cultura a diffondersi, e gli uomini a tenere in maggior conto la propria dignità, così è divenuto incontestabilmente più difficile di poterli governare con successo. Sono quindi da encomiarsi, e prenunziarsi assai come savi e antiveggenti quei governi, che sapendosi mettere al livello delle difficoltà, e direm pure dell’altezza dei tempi, sanno scartare opportunamente certe inutili anticaglie, e per isventare chetamente e provvidamente le minacciate rivoluzioni sanno seguire con occhio vigile queste trasformazioni che vengono costantemente operandosi, e s’inducono a concedere spontaneamente quelle riforme ed introdurre quei miglioramenti, che tendere possono al ben essere di tutte le classi, e soprattutto delle moltitudini, perchè più bisognose di aita e soccorso.

L’altro più efficace espediente poi, per fare stare quieti i popoli, è quello di dare loro buon esempio colla probità non a parole soltanto, ma coi fatti.

Ritornando in sul discorso della rivoluzione, di cui Roma fu la sede ed il centro diffonditore, diremo ch’essa presentò per verità tali apparenze, e fu così artificiosamente preordinata, che chiunque vi si sarebbe ingannato, perchè, mentre era rivoluzione in tutta l’ampiezza del significato, ebbe non pertanto aspetto di festa. Per festa la presero i Romani, per festa i popoli di estranei paesi, e queste feste succedentisi l’una all’altra, che formarono una festa e un tripudio continuato, erano sempre promosse e organate dai più caldi rivoluzionari, e ad esse associavansi con alacrità i Romani, vuoi attivamente prendendovi parte alcuni di essi, vuoi passivamente intervenendovi soltanto per osservarle.

Stando così le cose, e quantunque l’autorità avesse incominciato ad entrare in sospetto dell’inganno ordito, che

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