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Diremo dunque alcune cose sul conto del Dragonetti prima di procedere nel racconto di ciò che in Roma accadde per cagion sua.

Rammenteremo pertanto come figurasse egli in primo grado fra i più eloquenti oratori nel parlamento napolitano del 1820 e fosse arrestato per sospetto di cospirazione nel 1833.1 Liberato qualche tempo dopo, venne arrestato di nuovo nel 1842 per essersi chiarito o creduto complice della congiura dell’Aquila scoperta nello stesso anno.2 Liberato poi di nuovo, era fra gli esuli che recaronsi in Roma incoraggiati dalle romane larghezze, e vi pose sua stanza colla famiglia. Era quest’uomo per dottrina e gentilezza di modi quasi generalmente stimato, e veniva riguardato dai liberali come uno dei martiri della libertà italiana.

Scrittore egregio, lavorava nel Contemporaneo; e uomo di felice elocuzione, non si ristava dal frequentar banchetti, circoli, e popolari riunioni.

Esso pertanto venne effettivamente consigliato da monsignor Grassellini di allontanarsi da Roma. Non fu dunque un intimato sfratto, come si diceva, sibbene un consigliato allontanamento. È vero però che la differenza non consisteva che nei modi, imperocchè quanto all’effetto era la stessa cosa.

Nè di questo consiglio del Grassellini al Dragonetti era molto a meravigliarsi, perchè ammesso ancora che il governo napolitano non avesse affacciato alcuna osservazione in proposito, egli è chiaro che vedendo figurare e primeggiare il Dragonetti nella vita pubblica in una città come Roma, ch’è quasi alle porte di Napoli, non poteva prenderlo per un complimento. Nè poteva fargli piacere di sentire che divulgasse scritti, e pronunziasse discorsi di natura infiammabile i quali leggevansi poi pubblicamente, e stampati circolavano nella stessa città di Napoli. Cosicchè fosse pur vero che il governò di Napoli si tacesse,

  1. Vedi Gualterio, vol. I, parte II, pagina 811.
  2. Vedi il suddetto, pag. 223 — ut supra.