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della rivoluzione di roma | 217 |
avean preso il sopravvento sull’opinione pubblica, vedendo che costoro incominciavano a diminuire il loro entusiasmo verso il pontefice, cominciarono a diminuirlo ancor essi colla stessa facilità colla quale lo avevano innalzato e glorificato.
Queste sottigliezze di osservazioni conveniamo ancor noi che allora non potevan farsi, ma oggi che ne abbiamo avuto la esperienza, dobbiamo avvertirle e metterle in sodo, a disinganno degli ancor viventi e per lume di chi verrà, dopo di noi.
Non isfuggì al Ranalli questa considerazione allorquando scriveva quanto appresso:
«Non paia inutile il riferire cotali feste e dimostrazioni continue, avendo esse servito a consolidare l’opinione di quell’accordo fra il pontefice e i popoli, che fu primo seme di questo nostro risorgimento; conciossiachè sperasse Pio l’amicizia popolare poter rivolgere in vantaggio della sedia apostolica, e sperare il popolo di adoperare l’amicizia papale in pro della libertà; onde l’uno avvicinandosi e gratificandosi all’altro intendeva di fare la causa propria. Non dirò che questo fosse un gabbarsi reciproco, ma fu viceversa un vicendevole giovarsi di quella forza che ognuno in sè aveva. Chi dei due finalmente ottenesse l’intento, le cose che ci restano a narrare dimostreranno.»
Solo noi differiamo dal Ranalli sulle intenzioni reciproche del sovrano e del popolo, e sulle sue conseguenze, in quanto che mentre esso sostiene che le feste e dimostrazioni servissero a mantenere V accordo fra il pontefice e i popoli, e non vorrebbe ammettere che fosse un gabbarsi reciproco, noi al contrario diciamo che per parte del Santo Padre ciò non si verificò davvero, ma sibbene negli altri che artificiosamente e non realmente si chiamarono e si chiamano popoli, mentre non sono che un partito. Potrà ammettersi nel papa una condiscendenza o arrendevolezza forse spinta tropp’oltre. Potrà concedersi in esso troppa