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qualche cosa maggiore, e che dopo l’amnistia accolsero i popoli questo atto come il più benefico e il più importante del pontificato di Pio, facendone non meno che della prima, liberale e vantaggiosa interpretazione. Non guardarono che la promessa dei pubblici miglioramenti fosse annunziata dentro confini; nè si sfiduciavano che la proposta dei novelli deputati non venisse da elezione popolare, ma dipendesse dai medesimi capi del governo.

Giudicarono invece che fosse un grande avanzamento quello che il governo faceva, mettendosi sotto la pubblica opinione. Ripensarono al Primato del Gioberti, e a quella Monarchia consultiva ch’ei proponeva; parve a molti che fosse come un cominciare a mandare in esecuzione le teoriche dell’accetto e fortunato filosofo. Ai più sperti delle cose politiche parve ancor più; doversi poi dalla Consulta, cosa sempre precaria e insufficiente, passare ad una vera popolar rappresentanza. Così il Gioberti acquistava il titolo di profeta, così il popolo si rallegrava e infiammava a cose maggiori.»

In una parola ci dice chiaramente il Ranalli che si considerò la Consulta, o si volle far mostra di considerarla, come una specie di popolare rappresentanza che equivarrebbe, in buoni termini, ad una diminuzione del potere temporale del papa.

Non cade pertanto dubbio veruno sulla importanza che volle darsi all’atto anzidetto, celebrandone con pompa straordinaria la festa. Ma noi aggiungeremo che allora quando si vedrà ciò che si fece, e si conoscerà ciò che non si permise, ma voleva farsi il 15 novembre quando ebbe luogo la installazione della Consulta, allora si vedrà ancor meglio quale fosse il vero spirito della dimostrazione, e quale la interpetrazione all’atto che provocavala.

La festa dunque ebbe luogo mediante le istruzioni che da due centri in allora famosi diramaronsi ai capi popolo dei rioni, da questi ai loro capi-squadra, e infine da questi ai loro dipendenti.