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che il giorno 22. Tanto ciò è vero, che il 21 aveva già avuto luogo il famoso banchetto popolare sul monte Esquilino, di cui parleremo nel capitolo seguente, e mentre una parte dei Romani era già in attesa che i festeggianti del banchetto fossero per recarsi dopo sul Quirinale per fare una di quelle che nel linguaggio del giorno chiamavansi dimostrazioni, si fece lor sapere che non vi era nè vi poteva essere luogo a dimostrazione veruna, e quindi vennero invitati a ritirarsi pare alle loro case; nè in così vasta agglomerazione di persone favorevoli al movimento iniziato una parola sola s’intese allusiva alla circolare. Dunque la sera del 21 nulla sapevasi, ma la mattina del 22 fu ben altra cosa.

Si diffuse come lampo la notizia, e gli ordini vennero subito diramati, secondo il metodo da noi accennato nel capitolo IX, per una dimostrazione nella sera stessa. E siccome era per un oggetto che gli uomini del progresso desideravano ardentemente, ritenendola siccome una diminuzione del potere temporale del papa, fu quindi vivissimo in essi il desiderio di festeggiarla con pompa solenne.

Noi diremo di più che so ne fece una dimostrazione così significativa, che non possiamo a meno di non maravigliare come dal Farini se ne dia un cenno soltanto, aggiungendovi: «L’editto fu accolto con molta soddisfazione, e se ne fecero gli usati segni.»

Troppo poco si dice con ciò, ed i lettori con questa meschina narrazione di una festa così imponente non possono acquistare un’idea chiara e distinta dello stato di Roma in quel tempo, nè del quanto dovesse essere esaltato lo spirito pubblico, nè dell’astuta operosità della rivoluzione.

Non son queste cose da toccarsi così di volo, nè da tramandarsi ai posteri con aurea semplicità, passando sopra a quel che v’ha di malizia in ciò che si fece. Chi adoperasse in questa guisa tradirebbe l’istoria e ingannerebbe il mondo. Quanto si operava vedovasi da tutti, ma