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194 | storia |
campioni, il professore Francesco Orioli e Massimo d'Azeglio, mise fuori subito due opuscoli, in difesa deDa legge.1
Più tardi vide la luce altro opuscolo attribuito da taluno allo Sterbini, da talun altro al marchese Dragonetii.2 Si reclamava con esso libertà di stampa senza nè ceppi nè pastoie, e vituperavansi ad un tempo e la legge e i suoi difensori. Ne parlano il Farini ed il Ranalli nelle loro opere storiche,3 e questo secondo critica la legge dicendo: «Lasciamo la manifesta ingiustizia d’incarcerare il pensiero avanti che si sia reso colpevole.»
Strana pretesa per verità ci sembra quella di aspettare che il pensiero si renda colpevole per castigarlo. Ciò equivarrebbe a non voler puntellare una casa che minaccia rovina a danno e del proprietario e dei terzi. Si vorrebbe dunque lasciarla cadere per rindennizzare poscia i sofferenti? E non sarebbe le cento mila volte meglio il prevenire la sua caduta?
I Censori però adattaronsi ai tempi e agli uomini, e lungi dal mostrarsi rigorosi e tenaci, abbondarono in larghezze. E di ciò avemmo un esempio nei giornali che già pubblicavansi, e in quelli che incominciaron subito dopo a correre l’arringo, fra i quali, in quel tempo, il Contemporaneo teneva il primato. Ma di ciò altra volta. Basti per ora il dire che colla legge si ebbe infrenata, ma col fatto si ebbe quasi libera stampa. E giova non perdere di vista poi ch’eravamo in Roma papale, e che per la Roma, centro del governo ecclesiastico, la legge in questione peccava di troppo.4
Prese opportunamente la difesa della legge il Felsineo di Bologna, e nell’Educatore dell’abate Zanelli se ne parla