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frutti, mentre nel nostro specchio estinzione di sorte e pagamento di frutti trovansi amalgamati nella cifra annuale degli scudi 180 mila.

Ci asteniamo dal far menzione dell’Austria, la quale ha ancor essa il suo debito pubblico importante, ma ella almeno soffre in pace, e non ci viene ad assordare le orecchie con importune dicerie. Quanto al regno di Napoli poi facciamo riflettere che nell’anno 1846 presentava già tali elementi di prosperità da poter dimettere agiatamente il suo debito pubblico, il quale riteniamo che in quell’epoca fosse di 80 milioni di ducati circa, una quarta parte dei quali originata dal movimento del 1820. Non sembrerà esagerata una tale cifra ove si consideri che si riferisce ad uno stato di otto o nove milioni d’abitanti.

Gl’inglesi giornalisti, scimmiottando tutti i detrattori del governo pontificio, ne vorrebbero far credere che sia un governo poco men che fallito, e tale in somma da non inspirare fiducia veruna, dimenticando che esso solo fra tutti gli stati del mondo, se pure non possiede come stato, potrebbe disporre o semplicemente ipotecare, ove la necessità ve lo spingesse, dei beni del clero, i quali eguagliano non solo ma superano di molto tutto il debito dello stato pontificio tanto quello addossatogli dalle potenze alla restaurazione, quanto quello o quelli contratti posteriormente, e che abbiam ragione di credere, stante le somme già ammortizzate, non giungere alla somma di cinquanta milioni di scudi circa.

Dimenticano che Roma presenta tale un emporio di rarità e oggetti d’arte, che non havvi tesoro al mondo che possa ripagarli?

Dimenticano o ignorano gl’Inglesi, che se per loro sventura il britannico impero andasse ad affievolirsi, e scadere dalla sua attuale incommensurabile potenza, i governi ed i popoli del mondo, lungi dal rimpiangere il caso acerbo, forse se ne allieterebbero o per lo meno non ne avrebber gran pena, mentre i tempi a noi ben vicini, vedemmo