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facilmente da molti che sono nel caso mio, che sono come me, necessariamente mal informati.

» Un ultimo dubbio mi fu proposto. Badate, mi fu detto, che gl’Italiani in generale, i Romagnoli in particolare non sono Inglesi e Francesi, non sono a tal punto di educazione, di virilità, di sodezza politica, da potersi loro dire intiera la verità, l’opportunità politica, come se fossero politici adulti o vecchi; che qualche sfogo, qualche trastullo bisogna lasciar loro. — Ma rispondo io, nè io, nè niuno di noi scrittori, non siamo principi o governanti che abbiamo a lasciare, giudicare, o perdonare tali od altri sfoghi o trastulli, col fatto; non facciam che discorrere di loro opportunità; o se non li veggiamo opportuni, dobbiamo, potendolo, pur dirlo. E Io dobbiamo massimamente se temiamo che dai nostri scritti anteriori sieno state tratte applicazioni che non intendemmo nè intendiamo.

» E lo dobbiamo più che mai, se non siamo di quelli che credono a tante fanciullaggini, a tante ineducazioni, a tante non sodezze degli Italiani; so non crediamo che essi abbiano bisogno oramai di sfoghi e trastulli pericolosi , od inutili; se li crediamo anzi e per natura i più capaci uomini del mondo, e per esperienza così educati almeno oramai da sapere e voler udire intiera l’opinione di un compatrlotta sincero, d’uno che, spero, non dubitino, de’ più devoti alla causa nazionale italiana.

» Io rigettai dunque tutte queste dubbiezze, le quali non erano forse, se non che debolezze, paure, di far rivolgere contro a me alcuni o molti già consenzienti, paura di perdere più o meno di quell’opinione popolare, che è ricompensa sola de’ miei scritti. Ed essendomi tolto intanto Y altro dubbio del comprometter gli arrestati, dalla liberazione di essi, virtuosamente, felicemente come tante altre cose consumate da Pio IX, io lascio dubbi ed indugi e m’appresento un’altra volta con fiducia ai miei compatriotti.»