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riflessione, ma continuando sempre sotto l’impero della ebrietà, non avvenisse un raffreddamento.

I direttori sapevan bene quel che si facessero, perchè erano ammaestrati dalla esperienza che coll’agitazione continuata ottenne il famoso O’Connel e l’emancipazione dei cattolici e la reintegrazione dei diritti civili, e la rappresentanza in parlamento per essi, senza urti, senza violenze , e senza spargimento di sangue.

Disobbedire e andare avanti nelle dimostrazioni era dunque la parola d’ordine, e la popolazione romana associandovisi, avrebbe servito senza saperlo di celata e di usbergo BÌ promotori, mentre il governo, per motivo si apparentemente innocente, non sarebbe giammai venuto agli estremi di fare fuoco sul popolo per impedirle. Ritrovato questo sotterfugio, e penetrato il pensiero del governo, il loro trionfo era certo. Crediamo che riuscirebbe malagevole a chi che sia lo smentire questi fatti.

Abbiamo veduto nelle pagine precedenti come i primi istigatori delle dimostrazioni romane fossero i Mazzini, i Montanelli, e i Mamiani.

Risulta però che i Ricciardi, i Rossetti, i Canuti, e tanti altri all’estero residenti cospirassero sia colle dimostrazioni pacifiche, sia con altri mezzi per ribellare Roma e l’Italia, ma Roma sopratutto, che ne doveva essere il centro diffonditore.

Abbiamo dunque più che sufficenti le prove della non ispontaneità e non originalità romana, una volta che risulta i suddetti esserne stati i capi.

E se i capi non furono Romani, romane non furono le dimostrazioni; e le recenti memorie del Gaiani, delle quali abbiam tenuto discorso nel capitolo m, cel confermano. Cosi risulta già, e risulterà meglio in seguito, che le manifestazioni popolari sovraccennate furono V anima e il nerbo della rivoluzione. Ed anche in Roma i più che sì mischiarono in codeste faccende non furon Romani e ne citeremo in esempio i Bezzi, i Matthey, i Tomma-