Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. I).djvu/118

108 storia

in allora tutti sentimmo colle nostre orecchie, e delle quali possiam farci mallevadori. Ma siccome, quantunque fosser cose vere, niuno avrebbe osato di proclamarle ad alta voce, nè esisteva giornale alcuno che nella sua polemica ne facesse motto, nè scritto clandestino qualunque che venisse a rischiarare la pubblica opinione su cosa di sì grave momento, così restavan tutti, e ne parevan contenti, assorti e sbalorditi in una specie d’inganno spensierato.

La furberia giungeva a tale, che facevasi credere al popolo non dispiacere al papa questa inobbedienza; ch’esso anzi amava le dimostrazioni pacifiche, e che le avversavan soltanto i suoi ministri, perchè indottivi tuttavia dalle brighe dei devoti al cessato governo gregoriano. E volete vedere, aggiungevano, se la cosa è così? Niuno degli atti contrari alle dimostrazioni porta la firma di Pio IX. E intanto gran parte del popolo sel credeva, e ripeteva dietro i suggerimenti di chi guidavalo: che il Santo Padre era buono e clemente, ch’esso solo voleva il bene del popolo, ma che i ministri suoi erano più o meno panno della stessa lana dei gregoriani. A questo proposito non sia inopportuno avvertire essere regola costante dei politici cospiratori lo esaltare i sovrani, e deprimere i loro ministri per isolarli.

Questo dicevasi già nel 1846; questo pure si disse nel 1847. Nel 1848 però, quando parlò e sottoscrisse anche il papa, il rammentiamo con vergogna ed orrore, i rivoluzionari per disfogare la loro rabbia insensata, lacerarono i suoi atti nelle pubbliche strade.

I promotori pertanto così operando venivano a raggiungere lo scopo propostosi, e che stava in cima di ogni lor pensiero, e questo scopo (non è ora più un mistero) era il volere esautorare il papato del governo degli stati romani, operando ciò gradatamente e continuatamente con canti, suoni, feste, evviva, e benedizioni, di cui una non aspettasse l’altra, affinchè non dando mai luogo alla