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descrive, perchè vede e tocca. Investe la cosa direttamente, e fugge le perifrasi, le circonlocuzioni, le amplificazioni, le argomentazioni, le frasi e le figure, i periodi e gli ornamenti, come ostacoli e indugi alla visione. Sceglie la via più breve, e perciò la dritta; non si distrae e non distrae. Ti dà una serie stretta e rapida di proposizioni e di fatti, soppresse tutte le idee medie, tutti gli accidenti, e tutti gli episodii. Ha l’aria del Pretore, che non curat de minimis, di un uomo occupato in cose gravi, che non ha tempo, nè voglia di guardarsi attorno. Quella sua rapidità, quel suo condensare non è un artificio, come talora è in Tacito e sempre è nel Davanzati, ma è naturale chiarezza di visione, che gli rende inutili tutte quelle idee medie, di cui gli spiriti mediocri hanno bisogno per giungere faticosamente ad una conseguenza, ed è insieme pienezza di cose, che non gli fa sentire necessità di riempire gli spazii vuoti con belletti e impolpature, che tanto piacciono a’ cervelli oziosi. La sua semplicità talora è negligenza; la sua sobrietà talora è magrezza: difetti delle sue qualità. E sono pedanti quelli che cercano il pel nell’uovo, e gonfiano le gote in aria di pedagoghi, quando in quella divina prosa trovino latinismi, slegature, scorrezioni e simili negligenze.
La prosa del trecento manca di organismo, e perciò non ha ossatura, non interna coesione: vi abbonda l’affetto e l’immaginativa, vi scarseggia l’intelletto. Nella prosa del cinquecento hai l’apparenza, anzi l’affettazione dell’ossatura, la cui espressione è il periodo. Ma l’ossatura non è che esteriore, e quel lusso di congiunzioni e di membri e d’incisi mal dissimula il vuoto e la dissoluzione interna. Il vuoto non è nell’intelletto, ma nella coscienza, indifferente e scettica. Perciò il lavoro intellettivo è tutto al di fuori, frasche e fiori. Gli argomenti più frivoli sono trattati con la stessa serietà degli argo-