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mico si lega al Boccaccio, a Lorenzo e a tutta la nuova letteratura. Non crede a nessuna religione, e perciò le accetta tutte, e magnificando la morale in astratto vi passa sopra nella pratica della vita. Ma ha l’animo fortemente temprato e rinvigorito negli uffici e nelle lotte politiche, aguzzato negli ozii ingrati e solitari. E la sua coscienza non è vuota. Ci è lì dentro la libertà e l’indipendenza della patria. Il suo ingegno superiore e pratico non gli consentiva le illusioni, e lo teneva ne’ limiti del possibile. E quando vide perduta la libertà, pensò all’indipendenza, e cercò negli stessi Medici l’istrumento della salvezza. Certo, anche questa era un’utopia o una illusione, un’ultima tavola, alla quale si afferra il misero nell’inevitabile naufragio; ma un’utopia, che rivelava la forza e la giovinezza della sua anima e la vivacità della sua fede. Se Francesco Guicciardini vide più giusto e con più esatto sentimento delle condizioni d’Italia, è che la sua coscienza era già vuota e petrificata. L’immagine del Macchiavelli è giunta a’ posteri simpatica e circondata di un’aureola poetica per la forte tempra, e la sincerità del patriottismo e l’elevatezza del linguaggio e per quella sua aria di virilità e di dignità fra tanta folla di letterati venderecci. La sua influenza non fu pari al suo merito. Era tenuto uomo di penna e di tavolino, come si direbbe oggi, più che uomo di Stato e di azione. E la sua povertà, la vita scorretta, le abitudini plebee e fuori della regola come gli rimproverava il correttissimo Guicciardini, non gli aumentavano riputazione. Consapevole di sua grandezza, spregiava quella esteriorità delle forme e que’ mezzi artificiali di farsi via nel mondo, che sono sì familiari e sì facili a’ mediocri. Ma la sua influenza è stata grandissima nella posterità, e la sua fama si è ita sempre ingrandendo fra gli odii degli uni, e le glorificazioni degli altri. Il suo nome è rimasto la bandiera, intorno alla