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di Griffarrosto, allusione al Priore del suo convento, ritratto osceno e bilioso, tra il ringhio del cane e gli attucci senza vergogna della scimmia. La sua caricatura de’ tornei cavallereschi, concepita con brio, eseguita in forma stentata e grossolana, rivela una fantasia originale, a cui mancano gl’istrumenti.

Riuscitogli male l’italiano tentò un poema in latino, e smise subito. In ultimo trovò il suo istrumento, una lingua senza grammatiche e senza dizionarii e di cui nessuno aveva a chiedergli conto, una lingua tutta sua, trasformabile a sua posta secondo il bisogno del suo orecchio e della sua immaginazione, dico la lingua maccaronica.

Il latino era allora lingua viva nelle classi colte e diffuse. Sannazzaro, Vida, Fracastoro, Flaminio erano nomi sonori più che il Berni o l’Ariosto o il Boiardo. Se in Firenze l’italiano avea vinta la prova, nelle altre parti d’Italia il latino avea ancora la preminenza. In quella dissoluzione generale di credenze, d’idee, di forme, la buffoneria penetrò anche nelle due lingue, e ne uscì una terza lingua, innesto delle due, possibile solo in Italia, dove esse erano lingue note e affini. Avemmo adunque il pedantesco, un latino italianizzato, e il maccaronico, un italiano latinizzato, con mal definiti confini, sì che talora il pedantesco entra nel maccaronico, e il maccaronico nel pedantesco. Tentativi infelici e dimenticati, quando nel 1521, cinque anni dopo l’Orlando Furioso, uscì in luce la Maccaronea di Merlin Coccaio, e fece tale impressione, che in quattro anni se ne fecero sei edizioni.

La Maccaronea nel principio è l’Orlandino, mutati i nomi. A quel modo che Milone rapisce Berta, e poi la lascia, e Berta gli partorisce Orlando; Guido, discendente di Rinaldo, rapisce Baldovina, figlia di Carlomagno, e fugge con lei in Italia, accolti ospitalmente da un

 De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. II 4