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glioramenti speciali, che parevano innocui, com’erano le strade ferrate, l’illuminazione a gas, i telegrafi, la libertà del commercio, gli asili d’infanzia, i congressi scientifici, i comizii agrarii. A poco a poco i liberali tornarono là ond’erano partiti, e non potendo vincere i governi, li lusingarono, sperarono riforme di principi, anche del papa, rifacevano i tempi di Tanucci, di Leopoldo, di Giuseppe, e rifacevano anche un po’ quell’Arcadia. Certo, una teoria del progresso, che se ne rimetteva a Dio e all’Idea, dovea condurre a un fatalismo musulmano, e rendendo i popoli troppo appagabili, potea sfibrare i caratteri, trasformare il liberalismo in una nuova Arcadia, come temea Giuseppe Mazzini, che vi contrapponeva la Giovine Italia. Pure i moti repressi del 21 e del 31, i varii tentativi mazziniani mal riusciti, la politica del non intervento delle nazioni liberali, la potenza riputata insuperabile dell’Austria, la forza e la severità de’ governi, le fila spesso riannodate e spesso rotte, disponevano gli animi ad uno studio più attento de’ mezzi, li piegavano a’ compromessi, fortificavano il senso politico, rendevano impopolare la dottrina del Tutto o Niente. Lo stesso Mazzini, ch’era all’avanguardia, avea nel suo linguaggio e nelle sue formole quell’accento di misticismo e di vaporoso idealismo che era penetrato nella filosofia e nelle lettere e che lo chiariva uomo del secolo, e mostravasi anche lui disposto a tener conto delle condizioni reali della pubblica opinione, e a sacrificarvi una parte del suo ideale. Così, rammorbidite le passioni, confidenti nel progresso naturale delle cose, e persuasi che anche sotto i cattivi governi si può promuovere la coltura e la pubblica educazione, i più smessero l’azione politica diretta e si diedero agli studii: fiorirono le scienze, si sviluppò il senso artistico e il genio della musica e del canto; la Taglioni e la Malibran, la Rachel e la Ristori, Rossini e Bellini, le di-