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chiamata romantica. La critica entrava già per questa via, e fin d’allora sentivi parlare di classico e di romantico, di plastico e di sentimentale, di finito e d’infinito. L’inno era poesia essenzialmente religiosa, la poesia dell’infinito e del soprannaturale. Sorgea come sfida a’ classici per la materia e per la forma. Pure il poeta, volendo esser romantico, rimane classico. Invano si arrampica tra le nubi del Sinai; non ci regge, ha bisogno di toccar terra; il suo spirito non riceve se non ciò che è chiaro, plastico, determinato, armonioso; le sue forme sono descrittive, rettoriche e letterarie, pur vigorose e piene di effetto, perchè animate da immaginazione fresca in materia nuova. Vi senti lo spirito nuovo, che in quel ritorno delle idee religiose non abdica, e penetra in quelle idee e se le assimila, e vi cerca e vi trova sè stesso. Perchè la base ideale di quegl’Inni è sostanzialmente democratica, è l’idea del secolo battezzata e consacrata sotto il nome d’idea cristiana, l’eguaglianza degli uomini tutti fratelli in Cristo, la riprovazione degli oppressori e la glorificazione degli oppressi, è la famosa triade, libertà, uguaglianza, fratellanza, vangelizzata, è il cristianesimo ricondotto alla sua idealità e penetrato dallo spirito moderno. Onde nasce una rappresentazione pacata e soddisfatta, pittoresca nelle sue visioni, semplice e commovente ne’ suoi sentimenti, come di un mondo ideale riconciliato e concorde, ove si armonizzano e si acquietano le dissonanze del reale e i dolori della terra. Ivi è il Signore, che nel suo dolore pensò a tutt’i figli d’Eva; ivi è Maria, nel cui seno regale la femminetta depone la sua spregiata lacrima; ivi è lo Spirito, che scende aura consolatrice ne’ languidi pensieri dell’infelice; ivi è il regno della pace, che il mondo irride, ma che non può rapire; il povero, sollevando le ciglia al cielo che è suo, volge i lamenti in giubilo, pensando a cui somiglia.