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lenta con tutte le idee moderne, e non potea durare. Sopravvennero i moti di Spagna, di Napoli, di Torino, di Parigi, delle Romagne; Grecia e Belgio conquistavano la loro autonomia. Il sentimento nazionale si svegliava insieme col sentimento liberale. E il secolo decimottavo ripigliava il suo cammino co’ suoi diritti individuali, coi suoi principii d’eguaglianza, con la sua carta dell’ottantanove. I principi legittimi caddero. La monarchia per vivere si trasformò, si ammodernò, prese abiti borghesi, divise il suo potere con le classi colte. E soddisfatta la borghesia, soddisfatti tutti. Il terzo stato era niente; il terzo stato fu tutto.
Su questo compromesso visse l’Europa lunghi anni. Le istituzioni costituzionali si allargarono. Il censo e la capacità apersero la via a’ più alti uffici, rotte tutte le barriere artificiali. Continuò la guerra più aspra al feudalismo, alla mano morta, a’ privilegi. La borghesia trovò largo pascolo alla sua attività e alla sua ambizione nei parlamenti, ne’ consigli comunali e provinciali, nella guardia nazionale, nel giurì, nelle accademie, nelle scuole sottratte al clero. Le industrie e i commerci si svilupparono, si apersero altre fonti alla ricchezza. Un nuovo nome segnava la nuova potenza venuta su. Non si diceva più aristocrazia, si diceva bancocrazia, alimentata dalla libera concorrenza. Chi aveva più forza, vinceva e dominava, forza di censo, d’ingegno e di lavoro. L’attività intellettuale stimolata in tutti i versi, fra tanta pubblica prosperità faceva miracoli. All’ombra della pace e della libertà fiorivano le scienze e le lettere. Anche dove gli ordini costituzionali non poterono vincere, come in Italia, la reazione allentò i suoi freni, la borghesia ebbe una parte più larga alle pubbliche faccende, e vi s’introdusse un modo di vivere meno incivile. A poco a poco il vecchio si accostumava a vivere accanto al nuovo; il dritto divino e la volontà del popolo si as-