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voriva in gran parte la monarchia, che avea pure contribuito a promuoverlo. Non era interesse de’ principi restaurare le maestranze, le libertà municipali, le classi privilegiate, tutte quelle forze collettive sparite nella valanga rivoluzionaria, nelle quali essi vedevano un freno al loro potere assoluto. Rimase dunque in piedi quasi dappertutto e quasi intero l’assetto economico sociale consacrato da’ nuovi codici, e la monarchia assoluta uscì più forte dalla burrasca. Perchè il Clero e la Nobiltà, un giorno suoi rivali, divennero i suoi protetti e i suoi servitori sotto titoli pomposi, e scomparse le forze collettive naturali, potè con facilità riordinare la società sopra aggregazioni artificiali necessariamente sottomesse alla volontà sovrana, burocrazia, esercito e clero. La burocrazia interessava alla conservazione dello Stato la borghesia, che si dava alla caccia degl’impieghi, e centralizzando gli affari sopprimeva ogni libertà e movimento locale, e teneva nella sua dipendenza provincie e Comuni. Una moltitudine d’impiegati invasero lo Stato, come cavallette, ciascuno esercitando per suo conto una parte del potere assoluto, di cui era istrumento. L’esercito divenuto permanente, anzi una istituzione dello Stato, fu ordinato a modo di casta, contrapposto ai cittadini, evirato dall’ubbidienza passiva, e avvezzo a ufficio più di gendarme, che di soldato. Il clero, stretta l’alleanza fra il trono e l’altare, si recò in mano l’educazione pubblica, vigilò scuole, libri, teatri, accademie, osteggiò tutte le idee nuove, mantenne l’ignoranza nelle moltitudini, trattò la coltura come sua nemica. Motrice della gran mole era la Polizia, penetrata in tutte queste aggregazioni governative, divenuto spia l’impiegato, il soldato e il prete. Ne uscì una corruzione organizzata, chiamata governo, o in forma assoluta, o in maschera costituzionale.
Una reazione così fatta era in una contraddizione vio-