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nome dell’umanità e della poesia. Senti già Châteaubriand.

Ma se pur troppo è vero che il tempo traveste ogni cosa, che la materia solo è immortale, e le forme periscono, non è vero che la morte dell’uomo sia il nulla. Il poeta gli fabbrica una nuova immortalità. Restano di lui gli scritti, le idee, le geste, la memoria; la Musa anima il silenzio delle urne, e i viventi vi cercano ispirazioni e conforti. La pietà de’ defunti è la religione dell’umanità, ove non si voglia che ricaschi nello stato ferino. Non vogliamo credere a un essere superiore, dispensatore del premio e della pena; sia pure, anzi pur troppo è così; vero è ben, Pindemonte! ma uomini possiamo noi rifiutar fede all’umanità? e vogliamo proprio togliere alla vita tutte le sue illusioni, tutta la sua poesia? Foscolo protesta come uomo e come poeta. È in lui sempre il secolo decimottavo, ma il secolo andato troppo innanzi nel suo lavoro di demolizione, e che si arretra, cercando un punto di fermata nei sentimenti umani, via a’ sentimenti religiosi.

Queste cose Foscolo non le pensa solo, le sente. Ci era già il patriota, il libero uomo. Qui apparisce l’uomo nella sua intimità, ne’ delicati sentimenti della sua natura civile. L’uomo nuovo s’integra, il mondo interiore della coscienza si aggiunge nuovi elementi. Ed è da questa profondità di sentire che sono uscite le più belle ispirazioni della lirica italiana, il lamento di Cassandra, le impressioni di Maratona, l’apoteosi di Santacroce. Il punto di vista è così elevato che lo spettacolo d’Italia caduta così giù, materia di tanta rettorica, lo trova rassegnato e meditativo sulle alterne vicende delle umane sorti. Ci è vista di filosofo, cuore d’uomo e ispirazione di poeta.

Quando comparvero i Sepolcri, fu come si fosse tocca una corda, che vibrava in tutt’i cuori. E non fu minore l’impressione su’ letterati.