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mutatosi in traditore vendeva Venezia all’Austria. Da un dì all’altro Ugo Foscolo si trovò senza patria, senza famiglia, senza le sue illusioni, ramingo. Sfogò il pieno dell’anima nel suo Jacopo Ortis. La sostanza del libro è il grido di Bruto: o virtù, tu non sei che un nome vano. Le sue illusioni, come foglie di autunno, cadono ad una ad una, e la loro morte è la sua morte, è il suicidio. A breve distanza hai l’ideale illimitato di Alfieri con tanta fede, e l’ideale morto di Foscolo con tanta disperazione. Siamo ancora nella gioventù, non ci è il limite. Illimitate le speranze, illimitate le disperazioni. Patria, libertà, Italia, virtù, giustizia, gloria, scienza, amore, tutto questo mondo interiore dopo sì lunga e dolorosa gestazione appena è fiorito, e già appassisce. La verità è illusione, il progresso è menzogna. Al primo riso della fortuna ci era la follia delle speranze, al primo disinganno ci è la follia delle disperazioni. Questo subitaneo trapasso di sentimenti illimitati al primo urto della realtà rivela quella agitazione d’idee astratte ch’era in Italia, venuta da’ libri e rimasta nel cervello, scompagnata dall’esperienza, e non giunta ancora a temperare i caratteri. Trovi in questo Jacopo un sentimento morboso, una esplosione giovanile e superficiale più che l’espressione matura di un mondo lungamente covato e meditato, una tendenza più alla riflessione astratta, che alla formazione artistica, una immaginazione povera e monotona in tanta esagerazione dei sentimenti.
Il grido di Jacopo rimase sperduto fra il rumore degli avvenimenti. Sorsero nuove speranze, si fabbricarono nuove illusioni. Il romanzo, uscito anonimo, mutilato e interpolato, pura speculazione libraria, destò curiosità, fu il libro delle donne e dei giovani che vi pescavano un frasario amoroso. Ma non vi si diè importanza politica nè letteraria, anzi molti, tratti da somiglianze superficiali, lo dissero imitazione del Werther. Il fatto è