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che gli arde nel petto, non ha la pazienza e il riposo dell’artista, quel divino riso, col quale segue in tutti i suoi movimenti la sua creatura. Quel suo furore, del quale si vanta, è il furore di Oreste, che gl’intorbida l’occhio, sì che investendo il drudo uccide la madre: e gli fa scambiare i colori, abbozzare le immagini, appuntare i sentimenti, dare al tutto un aspetto teso e nervoso. Indi quella sceneggiatura e quello stile, quel sopprimere gradazioni, chiaroscuri, quel soverchio rilievo, quel dir molto in poco, come si vanta, quella mutilazione e congestione, quell’abbreviazione tumultuosa della vita, quel fondo oscuro e incolore della natura, quelle situazioni strozzate, que’ personaggi in abbozzo, che più fremono, e meno li comprendi. Di che aveva Alfieri un sentore confuso, quando scriveva:

     Nulla di quanto l’uom scienza chiama
Per gli orecchi mai giunto erami al core:
Ira, vendetta, libertade, amore
Sonava io sol, come chi freme ed ama.

E così è. La sua tragedia freme ira, vendetta, libertà, amore. Ma non basta fremere, o sonare, e l’attica dea, che gli dice: o dormi o crea, ha torto; non chi dorme, ma chi studia e medita, è buono a creare. Non vale cuore pieno, e mente ignuda. Manca a lui la scienza della vita, quello sguardo pacato e profondo, che t’inizia nelle sue ombre e ne’ suoi misteri e te ne porge tutte le armonie. Perciò dalla concitata immaginazione escon fuori punte arditissime, un certo addensamento di cose e d’immagini, che par folgore, ma in cielo scarno e povero, com’è il Pace di Nerone, il celebre Scegliesti? ho scelto, e il Vivi, Emon, tel comando, e il Fui padre, e il Ribelli tutti - E ubbidiron pur tutti: uno stile a fazione di Tacito e di Machiavelli con una ostentazione