Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/418


― 406 ―

Ciò che parevano i suoi versi, e ciò che ne pare a lui, si vede da questo epigramma contro i pedanti:

     Vi paion strani?
     Saran Toscani.
Son duri duri,
     Disaccentati...
     Non son cantati.
     Stentati, oscuri,
     Irti, intralciati...
     Saran pensati.
     

Pure Alfieri, discepolo di sè, non era ben sicuro del fatto suo, e consultò Cesarotti, Parini, tutti quelli che andavano per la maggiore. Voleva un modello di verso tragico, e un barlume ne vedeva nell’Ossian. Ma voleva l’impossibile, e in ultimo prese il miglior partito, fece da sè. Osa, contendi, gli diceva in un bel sonetto Parini. E lui a sudare intorno a’ suoi versi, tormentandoli in mille guise; ma

     Gira, volta, ei son francesi
     

gira a volta, ei son versi di Alfieri, energicamente individuali, carme più aguzzo assai, che tondo. Questo ei chiamava stile tragico. La forma letteraria era vuota e sonora cantilena. Lui, vi oppone questo stile, pensato e non cantato, energico sino alla durezza e pieno di senso. E non gli venne già da un preconcetto filosofico intorno all’arte, gli venne dalla sua natura: perciò in quelle sue asprezze è vivo e originale.

I critici biasimavano lo stile e lodavano tutto il resto, quasi lo stile fosse un fenomeno arbitrario e isolato. Non vedevano l’intima connessione che è tra quello stile e tutto il congegno della composizione. Perchè Alfieri, come sopprime periodi, ornamenti e frasi con lo