e non dava segno di vita letteraria. Se Gozzi fosse sceso in mezzo al popolo, e vi avesse attinte le sue ispirazioni, potea forse fare opera viva. Ma Gozzi era aristocratico, odiava tutte quelle novità, che sentivano troppo di democrazia, e viveva co’ suoi Granelleschi in un ambiente puramente letterario. Rimase perciò un letterato, non divenne un poeta. Oltre a ciò, un fatto letterario in quel tempo non potea sorgere di mezzo al popolo, divenuto acqua stagnante; un movimento c’era e veniva dalla borghesia, e con quelle tendenze si sviluppava la vita nazionale in tutt’i suoi indirizzi. Creare un mondo d’immaginazione, quando la guerra era appunto contro l’immaginazione, in nome della scienza e della filosofia, era un andare a ritroso. Gozzi nacque troppo presto. Venne il tempo che la borghesia, spaventata da quelle esagerazioni che stomacavano Gozzi, si riafferrò a quel mondo soprannaturale, come a tavola di salute. Quello era il tempo di Gozzi; e Gozzi ci fu, e si chiamò Manzoni. Al suo tempo Gozzi fu un elemento contraddittorio e perciò inconcludente; e la sua idea altamente estetica in astratto, riuscì un fatto letterario e artificiale. Volea ristorare l’antico, odiava le novità, e senza saperlo le portava nel suo seno: ond’è che tratta quel suo mondo dell’immaginazione a quello stesso modo che il forense Goldoni rappresenta la sua società borghese. Gli manca il chiaroscuro, gli manca l’impressione e il sentimento del soprannaturale, anzi il suo studio è di rappresentarlo con tutte le apparenze della naturalezza, come fosse un fatto vulgare e ordinario, a quel modo che andava predicando Goldoni. Perciò il suo stile non ha rilievo, il suo colorito non ha trasparenza, le sue tinte non sono fuse, e volendo esser naturale spesso ti casca nell’insipido e nel volgare. La naturalezza di questo mondo è nella ingenuità delle sue impressioni, curiosità, maraviglia, sospensione, terrore, collera, pianti, riso,