non vedea senza rincrescimento assalita da ogni parte la commedia a soggetto, che gli sembrava una gloria italiana. Dicevano che l’era oramai un vecchio repertorio, che l’era ridotta a mero meccanismo, che l’era una scuola d’immoralità, di scurrilità, roba da trivio, goffe, buffonate, fracidumi indecenti in un secolo illuminato. C’era esagerazione nelle accuse, ma un fondamento di verità c’era. La commedia improvvisa, dell’arte o a soggetto era isterilita, come tutt’i generi della vecchia letteratura, e tutti quei lazzi che tanto divertivano erano con poca varietà un vecchiume trasmesso da una generazione all’altra: si viveva sul passato, i nuovi attori riproducevano gli antichi; la parte improvvisata era così poco nuova e improvvisa, come la parte scritta. Piaceva più che la commedia letteraria, perchè ci era sempre maggior comunione col pubblico; ma oramai quel dottor Bolognese e Truffaldino stancavano, come un professore che ripeta ogni anno lo stesso corso. I letterati e i fautori delle commedie regolate ne pigliavano argomento per dichiarar guerra alle maschere e volevano proscrivere addirittura quel genere di commedia indecente in un secolo illuminato. Gozzi che l’avea contro quei lumi, e vedea di mal occhio tutte quelle novità che ci venivano d’oltr’Alpe, se ne fece paladino, e scese in campo co’ ragionamenti e coll’esempio, scrivendo sotto nome di Fiabe commedie con le maschere, e perciò con una parte improvvisata, le quali ebbero successo grandissimo, e oggi sono quasi dimenticate. Gozzi parea a quel tempo un retrivo, e Goldoni era il riformatore; pure avrei desiderato a Goldoni un po’ di quella fibra rivoluzionaria ch’era in quel retrivo: che così sarebbe proceduto più ardito e conseguente nella sua riforma. Il taciturno solitario Gozzi, come lo chiamavano, era uomo d’ingegno, e perciò penetrato della vita contemporanea, e trasformato senza saperlo da quelle stesse idee nuove,