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la loro riconciliazione in un modo così inaspettato e straordinario, com’è tutto l’intrigo. Tito fa condurre Sesto all’Arena, deliberato già di perdonargli: non basta la virtù, vuole lo spettacolo e la sorpresa. Questa, che a noi pare una moralità da scena, era a quel tempo una moralità convenuta, ammessa in teoria, ammirata, applaudita, a quel modo che le Romane battevano le mani ai gladiatori che morivano per i loro begli occhi. Si direbbe che Tito facesse il possibile per meritarsi gli applausi del pubblico. Appunto perchè questo eroismo non aveva una vera serietà di motivi interni e non veniva dalla coscienza, quel mondo atteggiato all’eroica aveva del comico, ed era possibile che vi penetrasse senza stonatura la società contemporanea nelle sue parti anche buffe e volgari. Prendiamo l’Adriano. Vincitore de’ Parti, proclamato imperatore, Adriano si trova in una delle situazioni più strazianti, promesso sposo di Sabina, amante di Emirena figlia del suo nemico, e rivale di Farnaspe, e l’amato di Emirena. Situazione molto avviluppata e che diviene intricatissima per opera di un quarto personaggio, Aquilio, confidente di Adriano, amante secreto di Sabina, e che perciò fomenta la passione del suo padrone. Emirena per salvare il padre offre la mano ad Adriano. La generosità di Emirena eccita la generosità di Sabina, che scioglie Adriano dalla data fede. La generosità di Sabina eccita la generosità di Adriano, che libera il padre di Emirena, rende costei al suo amato, e sposa Sabina. E tutti felici, e il Coro intuona le lodi di Adriano. Ma guardiamo in fondo a questi personaggi eroici. Adriano è una buona natura d’uomo, tutt’altro che eroica, voltato in qua e in là dalle impressioni, mobile, superficiale, credulo, in somma un buon uomo che rasenta l’imbecille. Non è lui che opera; egli è il paziente, anzi che l’agente del melodramma, e come colui che dà ragione a chi ultimo parla, dà sempre ragione