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nell’età dell’oro e nella vita pastorale. Ma nessuno può fuggire alla vita che lo circonda. Patria, religione, onore, amore, libertà operavano in quella vita posticcia, come in quella pacifica società, con perfetto riposo ed equilibrio dell’anima. Metastasio che cercava la tragedia con la testa era per il carattere un Arcade, tutto Nice e Tirsi, tutto sospiri e tenerezze. Da questa natura idillica poteva uscire l’elegia, non la tragedia. Aveva, come il Tasso, grande sensibilità, molta facilità, di lacrime, ma superficiale sensibilità, che poteva increspare, non turbare il suo mondo sereno. Non si può dir che la sua sensibilità fosse malinconia, la quale richiede una certa durata e consistenza; era emozione nata da subitanei moti interni, e che passava con quella stessa facilità che veniva. Questo difetto di analisi e di profondità nel sentimento manteneva al suo mondo il carattere idillico, non lo trasformava, ma lo accentuava e lo coloriva nel suo movimento; perchè l’idillio senza elegia è insipido. Una immaginazione non penetrata dalla serietà di un mondo interiore, appena ventilata dal sentimento, scorre leggiera su questo mondo idillico, e vi annoda e snoda una folla di accidenti, che gli dànno varietà e vivacità. Sembrano sogni che svaniscono appena formati, ma con tale chiarezza plastica ne’ sentimenti e nelle immagini che vi prendi la più viva partecipazione. Il poeta vi si intenerisce, vi si trastulla, vi si dimentica:

Sogni e favole io fingo; e pure in carte
Mentre favole e sogni orno e disegno,
In lor, folle ch’io son, prendo tal parte,
Che del mal che inventai piango e mi sdegno.

Di sogni e favole ce n’era tutto un arsenale nelle nostre infinite commedie e novelle, dove attingevano anche i forestieri, e dove attinge Metastasio. Ciò a cui mira è sorprendere, fare un colpo di scena, guidato dalla