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giore ossequio verso i suoi ministri; li accarezza anche; e fra tante dolcezze che botte da orbo! Il suo dispetto è che quelli sieno così ricchi, e lui, cioè loro, fra tante strettezze. Se anche loro avessero un feudo, passi. Ci si vede l’effetto della coltura. Il confronto fra tante chiese e conventi, e tanta negligenza di scienze, arti, industrie e commerci, è eloquente. Si sente il progresso dello spirito con un carattere ancora volgare. L’animo è ancora servile, lo spirito si è emancipato. Tali erano i giureconsulti, da’ quali usciva il movimento liberale, in quella forma un po’ grottesca tra l’insolenza verso il prete, e la servilità verso il Sovrano. Pure, teneri com’erano delle leggi, doveano essere portati naturalmente, per necessità della loro professione, a combattere l’arbitrio non solo ne’ chierici, ma anche ne’ laici, e a promovere una monarchia non più assoluta, ma legale, se non liberale. Questa tendenza è già manifesta in Giannone. Adora le leggi romane, ma adora innanzi tutto la legge, ed è inesorabile verso l’arbitrio. «Fin da’ primi tempi, egli dice, della repubblica niente altro bramavasi dalla licenziosa gioventù romana, salvo che non esser governati dalle leggi, ma che dovesse al re ogni cosa rimettersi ed al suo arbitrio, come nota Livio: Regem hominem esse, a quo impetres ubi Jus, ubi iniuria opus sit, leges rem surdam, inexorabilem esse. Sentimenti pur troppo licenziosi e dannevoli. Meglio sarà che nella repubblica abbondino le leggi, che rimetter tutto all’arbitrio de’ magistrati.»

Così la quistione ecclesiastica si allargava, e diveniva quistione legale, combatteva l’arbitrio sotto ogni forma. Le usurpazioni de’ nobili e de’ chierici erano contrastate, come illegittime, contrarie alle leggi politiche e civili. E del pari erano biasimati gli atti arbitrarii nelle autorità secolari, e anche nel Monarca. In questo pendio si andava molto innanzi. Arbitrio erano non solo gli atti