origine, nelle loro alterazioni, nella loro negazione, scuotere la fede nel dogma della risurrezione degli uomini, questo fa con grande erudizione e con sottili considerazioni. Ma l’ambiente in Italia non era ancora tale, che vi potessero trovar favore idee così radicali, elaborate a Vienna e a Ginevra. La coltura avea sviluppato l’ingegno, ma non avea ancora formato il carattere. In Giannone stesso l’uomo era inferiore allo scrittore. Nè i tempi erano così feroci nella persecuzione, e così assoluti nella proibizione, che rendessero possibili le disperate resistenze sino al martirio. Ci era una mezza libertà e perciò una mezza opposizione. Ci era il liberalismo del medio ceto, rivolto contro i baroni e i chierici, favorito dal Sovrano, e perciò in certi limiti cortigiano, ipocrita, e, come si dice oggi, in guanti gialli. Un saggio delle idee di quel tempo e di questo modo di opposizione ce lo dà il seguente brano di uno scrittore napolitano di quella età: «La giusta idea che fossero i chierici ministri del regno del cielo gli aveva esentati da tutt’i pesi del regno della terra; e la cura destinata loro delle anime e del culto divino gli ha oltre misura arricchiti di beni e privilegi in questo mondo. Non è già nostra intenzione di diminuire in nulla la vantaggiosa opinione del clero presso il popolo; quei ministri della religione li rispettiamo nel fondo del cuore. La religione è una delle prime leggi fondamentali dello Stato; e il senso di tali leggi non deve mai fare l’oggetto della discussione del semplice cittadino. Al consiglio del Sovrano appartiene il decidere delle loro inutilità e vantaggi; siccome la sua suprema potestà ne crea o depone i ministri, ne fissa o sospende l’esercizio, i riti, le funzioni, ne spiega o vela le dottrine, o le vendica, altera ed abroga conformemente a’ lumi che su di ciò la divinità, di cui è il rappresentante gl’ispira. Dico la Divinità, perchè altrimenti che significherebbe