l’uomo; non è più teologia, è psicologia. Provvidenza e metafisica sono di lontano, come sole o cielo, nello sfondo del quadro; il quadro è l’uomo e la sua luce, la sua scienza è in lui stesso, nella sua mente. La base di questa scienza è moderna, ci è Cartesio col suo scetticismo e col suo cogito. Ben talora, portato dall’alto ingegno speculativo, spicca il volo verso la teologia e la metafisica, ma Cartesio è là che lo richiama, e lo tiene stretto ne’ fatti psicologici. Nel quale studio del processo della mente negl’individui e ne’ popoli fa osservazioni così profonde e insieme così giuste, che ben si sente il contemporaneo di Malebranche, di Pascal, di Locke, di Leibnizio, il più affine al suo spirito, e ch’egli chiama il primo ingegno del secolo. Nè solo è moderno nella base, ma nelle conclusioni, mostrando nell’ultimo spiegarsi della mente vittoriosi i principii de’ nuovi filosofi. Perchè corona della sua epopea storica è lo spiritualizzarsi delle forme, il trionfo della filosofia, o della mente nella sua riflessione, la fine delle aristocrazie, e perciò de’ feudi e della servitù, la libertà e l’uguaglianza di tutte le classi, come stato delle società ingentilite e umane, come ultimo risultato della coltura. È la teocrazia e l’aristocrazia conquise dalla democrazia per il naturale spiegarsi della mente, è l’affermazione e la glorificazione dello spirito nuovo. Ma qui appunto Vico se ne spicca e rimane solo in mezzo al suo secolo. Posto tra il mondo della sua biblioteca, biblico-teologico-platonico, e il mondo naturale di Cartesio e di Grozio, due assoluti, e impenetrabili come due solidi, e che si scomunicavano l’un l’altro, cerca la conciliazione in un mondo superiore, l’idea mobilizzata o storica, e in una scienza superiore, la critica, l’idea analizzata e giustificata nei momenti della sua esistenza, la scienza uscita dall’assolutezza e rigidità del suo dommatismo, e mobilizzata come il suo contenuto. La critica è rifare con la rifles-