Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/327


― 315 ―

cia non hanno avuto un Bacone. Trovava in lui congiunto il senso ideale di Platone, il senso pratico di Tacito, la sapienza riposta dell’uno, la sapienza volgare dell’altro. E poi, gli apriva nuovi orizzonti. Avea studiato tanto, e la sua scienza non era più un libro chiuso, ci era tanto da aggiungere, tanto da riformare. Voleva egli pure conferire del suo nella somma che costituisce l’universal repubblica delle lettere. Non è più un erudito immobilizzato nel passato, è un riformatore, un investigante. Critica, dubita, esamina, approfondisce. Sente il morso dello spirito nuovo. Nei suoi studi dell’antica sapienza italica, vedi già il disdegno delle etimologie grammaticali, il dispregio dell’erudizione volgare, l’uomo che tenta nuove vie, intravvede nuovi orizzonti, cerca tra i particolari le alte generalità.

Più tardi gli capitò Grozio, e divenne il suo quarto autore. Grozio gli completa Bacone. Costui vide tutto il sapere umano e divino doversi supplire in ciò che non ha, ed emendare in ciò che ha; ma intorno alle leggi non s’innalzò troppo all’universo delle città ed alla scorsa di tutt’i tempi, nè alla distesa di tutte le nazioni. Grozio gli dà un Dritto universale, in cui è sistemata tutta la filosofia e teologia. Il comentatore del dritto romano si sente alzare a filosofo. Cerca una filosofia del Dritto con Grozio, e si fa il suo annotatore: poi riflette che è un eretico, e lascia stare.

La materia della sua cultura è sempre quella, dritto romano, storia romana, antichità. La sua fisica è pitagorica, la sua metafisica è platonica, conciliata con la sua fede. Base della sua filosofia è l’Ente, l’Uno, Dio. Tutto viene da Dio, tutto torna a Dio, l’unum simplicissimum di Ficino. L’uomo e la natura sono le sue ombre, i suoi fenomeni. La scienza è conoscere Dio, perdere sè stesso in Dio. E vien su il Dio di Campanella, l’eterno lume, il senno eterno, con le sue primalità,