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rettorica all’università. Vita semplice e ordinaria, dal 1668 al 1744. Vita accademica, tranquilla di erudito italiano, formatosi nelle biblioteche e fuori del mondo, rimasto abbarbicato al suolo della patria. Il movimento europeo gli giunse a traverso la sua biblioteca, e gli giunse nella forma più antipatica a’ suoi studi e al suo genio. Gli venne addosso la fisica di Gassendi, e poi la fisica di Boyle, e poi la fisica di Cartesio. La gran novità, pensava il nostro erudito. Ma l’hanno già detto questo Epicuro e Lucrezio. E per capire Gassendi si pose a studiare Lucrezio. Ma la novità piacque. Fisica, fisica vuol essere, diceva la nuova generazione, macchine; non più logica scolastica, ma Euclide; sperimenti, matematiche; la metafisica bisogna lasciarla ai frati. Che diveniva Vico con la sua erudizione e col suo dritto romano? Reagì, e cercò la fisica non con le macchine e con gli sperimenti, ma ne’ suoi studi di erudito. Le scienze positive entravano appena nel gran quadro della sua cultura, e di matematiche sapeva non oltre di Euclide, stimando alle menti già dalla metafisica fatte universali non agevole quello studio proprio degli ingegni minuti. Cercò dunque la fisica fuori delle matematiche e fuori delle scienze sperimentali, la cercò fra i tesori della sua erudizione, e la trovò nei numeri di Pitagora, ne’ punti di Zenone, nelle idee divine di Platone, nell’antichissima sapienza italica. L’Europa aveva Newton e Leibnizio; e a Napoli si stampava De antiquissima italorum sapientia. Erano due colture, due mondi scientifici che si urtavano. Da una parte era il pensiero creatore, che faceva la storia moderna, dall’altra il pensiero critico che meditava sulla storia passata. Chiuso nella sua erudizione, segregato nella sua biblioteca dal mondo dei vivi, quando Vico tornò in Napoli, trovò nuova cagione di maraviglia. L’aveva lasciata tutto fisica; la trovava tutto metafisica. Le Meditazioni e il Metodo di