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veronese. A che pensa costui? Pensa agli assiri, a’ medi e a’ troiani. Non raccoglie, ma pensa, cioè a dire, scruta, paragona, giudica, congettura, arzigogola e costruisce. I monumenti non rimangono più lettera morta; parlano, illustrano la cronologia e la storia. Per mezzo di essi si stabiliscono le date, le epoche, i costumi, i pensieri, i simboli, si rifà il mondo preistorico. In questa geologia della storia i fatti e gli uomini vacillano, si assottigliano, diventano favole, e le favole diventano idee. Comparve la sua storia nel 1697. Vico aveva ventinove anni.
L’erudizione generava dunque la critica. In Italia si svegliava il senso storico e il senso filosofico. E si svegliava non sul vivo, ma sul morto, nello studio del passato. Questo era il carattere del suo progresso scientifico. Quelli che si occupavano del presente a loro rischio, erano cervelli spostati. E tra questi cervelli balzani c’era il milanese Gregorio Leti, che pose in luce la cronaca scandalosa dell’età in uno stile che vuol essere europeo e non è italiano, e Ferrante Pallavicino nel suo Corriere svaligiato, una specie di satira omnibus, dove ce n’è per tutti. In quel vacuo dell’esistenza sciupavano l’ingegno in argomenti grotteschi, e in forme che parevano ingegnose ed erano freddure, un seicentismo arcadico. Il canonico Garzoni scrivea il Teatro de’ cervelli mondani, l’Ospedale de’ pazzi incurabili, la Sinagoga degl’ignoranti, il serraglio degli stupori del mondo. Sono discorsi accademici, infarciti d’erudizione indigesta, più curiosa che soda. I quali erano la vera piaga d’Italia, e attestavano una cultura verbosa e pedantesca senz’alcuna serietà di scopo e di mezzi. Il più noto di questi dotti, e ce n’erano moltissimi, è Anton Maria Salvini, cervello ingombro, cuore fiacco e immaginazione povera, vita vuota. E volle tradurre Omero.