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gna, la Francia, l’Inghilterra, erano fatti colossali che rinnovavano la faccia del mondo. Ma le conseguenze non erano ancora ben chiare, e il mondo moderno, il mondo dell’uomo e della natura, o, per dirlo in una parola, la scienza, era ancora come un sole inviluppato di vapori, che non dànno via ai suoi raggi. E i vapori erano il mondo popolare dell’immaginazione, che suppliva alla scienza, riempiendo la terra di miracoli. Ogni specie di soprannaturale era accumulata e ammessa, il miracolo de’ cristiani, il prodigio de’ pagani, gl’incanti de’ maghi e delle fate, le imposture degli astrologi. L’uomo stesso in mezzo a questa natura fatata e incantata era un attore degno di quel teatro: essere ancora primitivo, credulo, ignorante, abbandonato alle sue inclinazioni e passioni, determinato all’azione da subiti movimenti, anzi che da posata riflessione, e che non si ripiega mai in sè, non si studia, non si conosce, è tutto superficie, tutto fuori nel tumulto e nel calore della vita. Perciò è piuttosto anch’esso una forza naturale che un esssere consapevole, una forza tirata e avvolta nel vario gioco degli avvenimenti, povera di carattere e di autonomia.

Nondimeno l’Italia era il paese, dove l’uomo, come intelligenza, era più adulto, più formato dall’educazione e dalla coltura, e dove il soprannaturale sotto tutte le sue forme non era ammesso, che come macchina poetica, un gioco d’immaginazione. Perciò se in altre parti di Europa ci era ancora un legame tra il mondo cavalleresco e il mondo reale, questo legame era spezzato tra noi, e la cavalleria non era che un mondo di pura immaginazione.

Ludovico era tutt’altro che uomo cavalleresco, anzi tirava al comico. E quando prese a voler continuare la storia del Boiardo, era come un pittore che dipinge con la stessa indifferenza una santa o una ninfa o una fata, pur di dipingerla bene. Molti chiedono, quale fu lo scopo