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zia sul potere laicale. Ivi aveano radice i diritti giurisdizionali, che curia e gesuiti cercavano di far valere negli Stati, concitando contro di sè non solo i protestanti, ma i principi cattolici. Era il medio evo rammodernato nella superficie, di apparenze più corrette e meno rozze. Scrivere la storia di quel Concilio, e dimostrare la sua mondanità, cioè a dire i fini, le passioni e gl’interessi mondani, che resero possibili quei decreti, e prevalenti le opinioni estreme e violente, era un attaccare il male nella sua base. A questa impresa si accinse il Sarpi. E se la passione politica fosse in lui soprabbondata, tirandolo a violenza d’idee e di espressioni, e a volontarie alterazioni e mutilazioni di fatti, il suo scopo sarebbe mancato. La sua forza è nella sua moderazione e nella sua sincerità. Nè questo egli fa solo per sagacia di uomo politico, ma per naturale probità e per serietà di storico e letterato. La storia nelle sue mani non è solo un istrumento politico; è un sacro ufficio, che egli non sa prostituire alle passioni contemporanee, e al quale si prepara con ogni maniera di studi e d’investigazioni. E qui è l’interesse di questo libro. Ha voluto scrivere una storia imparziale con sincerità e gravità di storico, e riesce parzialissimo, perchè l’uomo con le sue passioni, con le sue simpatie e antipatie, co’ suoi fini politici, con le sue opinioni traspare da ogni parte e si fa valere. La parzialità non è volontaria, e non è nella materialità dei fatti, ma è nello spirito nuovo che vi penetra, non solo nella sua generalità dottrinale, ma nelle sue più concrete determinazioni politiche ed etiche. Non ci è autorità che tenga; Sarpi studia tutto, sente tutti; ma decide lui. L’autorità legittima è nella sua ragione. Il suo ideale è la chiesa primitiva e evangelica, sgombra di ogni temporalità, e non di altro sollecita che d’interessi spirituali. Condanna soprattutto la gerarchia, nata di ambizione papale e d’ignoranza de’ principi. Nè per