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del pendolo, del termometro, del compasso geometrico, del telescopio. Con questo potente istrumento iniziò le sue speculazioni astronomiche, che rinnovavano il cielo biblico e tolemaico. Parecchi fatti, divinati da Bruno, acquistavano certezza, come ciò che si vede e si tocca. Il suo Nunzio sidereo appariva così maraviglioso, come il viaggio di Colombo. Le montuosità della Luna, le fasi di Venere e di Marte, le macchie del Sole, i satelliti di Giove, erano tali scoperte a breve distanza, che spoltrivano gli animi oziosamente cullati ne’ romanzi e nelle oscenità letterarie. La filosofia naturale vinceva oramai le ultime resistenze nella pubblica opinione. Non si trattava più d’ipotesi e di astratti ragionamenti. I fatti erano là, e parlavano più alto che i sillogismi dei teologi e degli scolastici. La cosa effettuale di Machiavelli, il lume naturale di Bruno, il metodo sperimentale di Telesio, la libertà dolce alla verità di Campanella avevano il loro riscontro nelle belle parole di Galilei: «Ah viltà inaudita d’ingegni servili, farsi spontaneamente mancipio»! Il buon Simplicio, il pedante aristotelico, come Polinnio, risponde: «Ma, quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia?» E Galileo replica pacatamente: «I ciechi solamente hanno bisogno di guida. Ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta.» Il lume soprannaturale, la scienza occulta, il mistero, il miracolo scompariva innanzi allo splendore di questo lume naturale dell’occhio e della mente, la magia, l’astrologia, l’alchimia, la cabala sembravano povere cose innanzi ai miracoli del telescopio. Colombo e Galileo ti davano nuova terra e nuovo cielo. Sulle rovine delle scienze occulte sorgevano l’astronomia, la geografia, la geometria, la fisica, l’ottica, la meccanica, l’anatomia. E tutto questo era la filosofia naturale, il naturalismo. La filosofia, diceva Galileo, è scritta nel libro grandis-