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è la riabilitazione, anzi l’indiamento della materia scomunicata, chiamata peccato. Bruno ha chiara coscienza di ciò che fa. Perchè mette in bocca al pedante aristotelico le opinioni volgari che correvano intorno alla materia. Il pedante è Polinnio, ed è descritto così: «Questo è un di quelli che quando ti aran fatta una bella costruzione, prodotta una elegante epistolina, scroccata una bella frase dalla popina ciceroniana, qua è risuscitato Demostene, qua vegeta Tullio, qua vive Salustio; qua è un Argo, che vede ogni lettera, ogni sillaba, ogni dizione. Chiamano all’esamina le orazioni, fanno discussione delle frasi con dire: queste sanno di poeta, queste di comico, questa di oratore! questo è grave, questo è lieve, quello è sublime, quell’altro è humile dicendi genus; questa orazione è aspera, sarebbe lene, se fosse formata così; questo è un infante scrittore, poco studioso dell’antiquità, non redolet arpinatem, desipit Latium; questa voce non è tosca, non è usurpata da Boccaccio, Petrarca e altri probati autori. Con questo trionfa, si contenta di sè, gli piacciono più che ogni altra cosa i fatti suoi: è un Giove che dall’alta specula rimira e considera la vita degli altri uomini suggetta a tanti errori, calamitadi, fatiche e miserie inutili; solo lui è felice, lui solo vive vita celeste, quando contempla la sua divinità nello specchio di uno spicilegio, un dizionario, un Calepino, un lessico, un cornucopia, un Nizolio. Se avvien che rida, si chiama Democrito, se avvien che si dolga, si chiama Eraclito: se disputa, si chiama Crisippo; se discorre, si chiama Aristotile; se fa chimere, si appella Platone; se mugge un sermoncello, s’intitula Demostene, se costruisce Virgilio, lui è il Marone. Qua corregge Achille, approva Enea, riprende Ettore, esclama contro Pirro, si condole di Priamo, arguisce Turno, scusa Didone, commenda Acate, e infine mentre verbum verbo reddit, e infilza salvatiche