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positi, alienazioni di mente, poetici furori, offuscamento di sensi, turbazioni di fantasia, smarrito peregrinaggio d’intelletto, fede sfrenata, cure insensate, studi incerti, somenze intempestive, e gloriosi frutti di pazzia.» Con queste disposizioni non individua, come fa l’artista, ma generalizza, mette insieme le cose più disparate, perchè nelle massime differenze trova sempre il simile e l’uno, e profonde antitesi, similitudini, sinonimi, con una copia, un brio, una novità di relazioni che testimoniano straordinaria acutezza di mente. Chi legge Bruno si trova già in pieno seicento, e indovina Marino e Achillini. Ecco un periodo alla sua donna: «A voi, coltivatrice del campo dell’animo mio, che dopo di avere attrite le glebe della sua durezza, acciò che la polverosa nebbia sollevata dal vento della leggerezza non offendesse gli occhi di questo e quello, con acqua divina, che dal fondo del vostro spirito deriva, m’abbeveraste l’intelletto.» Sembra un periodo rubato a Pietro Aretino, che ne facea mercato. Il difetto penetra anche nella rappresentazione, essendo i caratteri concepiti astrattamente, perciò tesi e crudi, senza ombre e chiaroscuri, con una cinica nudità, resa anche più spiccata da una lingua grossolana, un italiano abborracciato e mescolato di elementi napolitani e latini.
In questo mondo comico i tre protagonisti, che sono i tre sciocchi beffati e castigati, abbracciano la vita nelle sue tre forme più spiccate, la letteratura, la scienza e l’amore nella loro comica degenerazione. La letteratura è pedanteria, la scienza è impostura, l’amore è bestialità. Il personaggio meglio riuscito è il pedante che finisce sculacciato e rubato. E il pedante sotto varii nomi diviene parte sostanziale anche del suo mondo filosofico, diviene il suo elemento negativo e polemico. Dirimpetto alla sua speculazione ci è sempre il pedante aristotelico, che rappresenta il senso comune o le opinioni volgari,