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XVIII.
La letteratura non poteva risorgere che con la risurrezione della coscienza nazionale. Come negazione, ebbe vita splendida, che si chiuse col Folengo e l’Aretino. Arrestato quel movimento negativo dal Concilio di Trento, nacque un’affermazione ipocrita e rettorica, sotto alla quale senti una delle forme più deleterie della negazione, l’indifferenza. In quella stagnazione della vita pubblica e privata, non rimane alla letteratura altro di vivo che un molle lirismo idillico, il quale si scioglie nel melodramma, e dà luogo alla musica.
Ma quel movimento non era puramente negativo. Vi sorgeva dirimpetto l’affermazione del Machiavelli, una prima ricostruzione della coscienza, un mondo nuovo in opposizione dell’ascetismo, trovato e illustrato dalla scienza. È in questo mondo nuovo che la letteratura dovea cercare il suo contenuto, il suo motivo, la sua novità. Accettarlo o combatterlo era lo stesso. Ma bisognava ad ogni costo avere una fede, lottare, poetare, vivere, morire per quella.
I principii furono favorevoli. Insieme con la nuova letteratura si era sviluppata un’agitazione filosofica nell’Università e nelle accademie, indipendente dalla teologia cattolica o riformista, o piuttosto in opposizione mascherata alla teologia e all’aristotelismo dominante ancora nelle scuole. I liberi pensatori eran detti filosofi moderni, o i nuovi filosofi, come predicatori di nuove dottrine, e vedemmo come il Tasso nella sua giovinezza soggiacque alla loro autorità. Tra questi nuovi filosofi, che proclamavano l’autonomia della ragione, e la sua indipendenza da ogni autorità di teologo e di filosofo,