Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
― 220 ― |
Dico insulse, perchè a quelle personificazioni manca e la profondità del significato e la serietà della vita. È lo scheletro de’ poemi italiani, aggiuntivi anche certi episodii ingegnosi per far la corte alle famiglie principesche d’Italia e alla casa di Francia. Ma è un puro scheletro, dove non penetra per alcuno spiraglio la vita. E poichè quello solo l’interessa che vive, questo poema non c’ispira nessuno interesse. Non c’è un solo personaggio che attiri l’attenzione e lasci di sè un vestigio nella memoria; non una sola situazione drammatica o lirica di qualche valore. La vita è materializzata e allegorizzata, tutta al di fuori, nei suoi accidenti, contrasti e simiglianze esteriori; e come le simiglianze o i contrasti esterni sono infiniti, nascono rapporti capricciosi, arbitrarii tra le cose, che sono veri quanto a questa o a quella apparenza, ma ridicoli e falsi per rispetto alla totalità della vita. Abbiamo veduto in che modo la rosa è rappresentata nel Poliziano, nell’Ariosto e nel Tasso. Sono pochi particolari che lumeggiano la rosa nella sua individualità, e non alterano la sua natura. Sentite ora la rosa del Marino.
Rosa, riso d’amor, del ciel fattura,
Rosa del sangue mio fatta vermiglia,
Pregio del mondo e fregio di natura,
Della terra e del sol vergine figlia,
D’ogni ninfa e pastor delizia e cura,
Onor dell’odorifera famiglia;
Tu tien d’ogni beltà le palme prime,
Sopra il vulgo de’ fior donna sublime.
Quasi in bel trono imperatrice altera
Siedi colà su la nativa sponda;
Turba d’aure vezzose e lusinghiera
Ti corteggia d’intorno e ti feconda;
E di guardie pungenti armata schiera
Ti difende per tutto e ti circonda.
E tu fastosa del tuo regio vanto
Porti d’or la corona e d’ostro il manto.