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gomento di tutt’i poemi cavallereschi, sciolto nella buffoneria del Pulci e nell’ironia dell’Ariosto, purgato e nobilitato dal Tasso, era divenuto l’accento ufficiale del secolo. Il poeta di questa restaurazione fu Gabriello Chiabrera, che compiuti i suoi studi a Roma, educato da’ gesuiti, guidato da Speron Speroni, ritiratosi nella nativa Savona pieno il capo di testi greci e latini e d’arti poetiche, verseggiò instancabilmente, sino alla tarda età di ottantasei anni, fra le ammirazioni de’ principi e de’ letterati. In tre volumi di liriche non ti è facile incontrare un pensiero o una immagine che ti arresti, e avendo a mano argomenti nobilissimi o affettuosissimi, niente è che ti mova o t’innalzi. Non ci è quasi avvenimento di qualche importanza che non sia da lui celebrato, come le vittorie su’ pirati delle galee toscane, la battaglia di Lepanto, le fazioni de’ veneziani in Grecia. Lodi di principi abbondano, ma non mancano lodi di grandi capitani, e soprattutto di Santi, come di Pietro, Paolo, Cecilia, Maria Maddalena, Stefano, Agata, e simili, a cominciare dalla Vergine. Vi s’inframmettono satire di eretici, come Lutero, Calvino e Beza, che sono vere invettive personali. Naturalmente non mancano anche gli amori, temi astratti, ne’ quali spuntano già le Filli, le Amarilli e le Cloe che più tardi invasero l’Arcadia. Che più? Quando manca l’argomento vivo e presente, si esercita, come i collegiali, sopra generalità astratte, come il verno, le stelle, Muzio Scevola, il ratto di Proserpina, il Diluvio, Golia, Giuditta e simili. Canzoni e canzonette, ditirambi ed epitaffi, sonetti e poemi, trovi qui ogni varietà di forme, come ogni varietà di contenuto. Ora fa l’eroe, ora fa il cascante, e suona con la stessa facilità la tromba, la cetra, la lira e la sampogna, ora scimieggiando Pindaro, ora Anacreonte. Le feste principesche gli forniscono materia di favole boscherecce e di drammi musicali. Ma tutto è a uno stam-