stioni astratte, o formali. Ci è un libro che volontariamente ha chiuso, ed è il libro della libera investigazione. Nella sua giovinezza l’autore del Rinaldo, dedito a furtivi e disordinati amori, era anche infetto dalla peste filosofica. La gran quistione era qual fosse superiore, la fede o la religione, la volontà o l’intelletto. I filosofi moderni rivendicano, egli dice, la sovranità dell’intelletto, e sostengono che l’uomo non può credere a quello che ripugna all’intelletto. Tratto dalla corrente, il giovine Tasso non crede all’incarnazione, nè all’immortalità dell’anima, e di quei suoi costumi e di queste opinioni i suoi avversarii gli fecero carico presso la Corte, quand’egli era già pentito e confesso e animato da zelo religioso. La sua religione è messa d’accordo con la sua filosofia su questo bel ragionamento, che l’intelletto non può spiegare tante cose che pure esistono, e che perciò esistono anche le verità della Fede, ancorchè l’intelletto non sia giunto a spiegarle. Indi è che ti riesce più erudito e dotto, che filosofo, e rimane segregato da tutto quel movimento intellettuale intorno alla natura e all’uomo che allora ferveva anche in Italia, abbandonandosi al suo naturale discorso timidamente, e non senza aggiungere, che se cosa gli vien detta non pia e non cattolica, sia per non detta. Odia a morte i luterani, ha in sospetto i filosofi moderni, e cerca un rifugio negli antichi, massime in Platone, più affine alla sua natura contemplativa e religiosa. De’ suoi dubbii, delle sue ansietà, della sua vita intellettuale interiore non è rimasto un pensiero, non un grido. Ci è qui l’anima di Pascal o di sant’Agostino, cristallizzata in quell’atmosfera inquisitoriale nelle forme classiche e negli studi platonici. Uno dei suoi più interessanti dialoghi è quello che prende il nome del Minturno, scrittore napolitano, che fra l’altro diè fuori una poetica. Ivi il poeta investiga la natura del bello, confutando tutte le definizioni vol-
De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. II |
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