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errante pe’ campi con le sue pecorelle, tutta sola in compagnia del suo amore, pensosa e fantastica e lacrimosa, espande le sue pene con una dolcezza musicale, il cui segreto è meno nelle immagini che nel numero. Trovi reminiscenze petrarchesche e luoghi comuni in una musica nuova, piena di misteri o di non so che nella sua melodia. Un traduttore può rendere il senso, ma non la musica di quelle ottave. L’anima del poeta non è nelle cose, ma nel loro suono, a cui è sacrificata alcuna volta la proprietà, la precisione, la sobrietà, tutte le alte qualità dello stile, che rendono ammirabile il Petrarca, suo ispiratore: pur non te ne avvedi sotto la malìa di quell’onda musicale, che non è un artifizio esteriore e meccanico, ma è il non so che del sentimento, che vien dall’anima e va all’anima.

L’idillico non è in questa o quella scena, ma è la sostanza del poema, il suo significato. La base ideale del poema è il trionfo della virtù sul piacere, o della ragione sulle passioni. Un lato di questa base rimane intellettuale e allegorico, e si risolve poeticamente in esortazioni paterne, come:

Figlio non sotto l’ombra o in piaggia molle,
Tra fronde e fior, fra Ninfe e fra Sirene,
Ma in cima all’erto e faticoso colle
Della virtù riposto è il nostro bene.

Contrapposto alla virtù è il piacere, e qui si sviluppano tutte le facoltà idilliche del poeta. In Erminia l’idea idillica è la pace della vita campestre, farmaco del dolore vòlto in dolce melanconia. Qui l’idea idillica è il piacere della bella natura spinto sino alla voluttà e alla mollezza, come ozio di anima e contrapposto alla virtù e alla gloria: ciò che il poeta chiude nel motto: quel che piace, ei lice, traduzione del dantesco: libito fe’ licito. Questa idea è sviluppata nel canto della Ninfa,