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cio Aristotile, e solleticava l’attenzione pubblica co’ suoi Paradossi.

Nella prima metà del secolo la libertà, anzi la licenza dello scrivere gittava in mezzo a quell’aspetto uniforme e pedantesco della letteratura la vivezza, la grazia, la mordacità, la lubricità, la personalità dello scrittore. Dirimpetto al classico ci era l’avventuriere.

Ultimo di questi avventurieri fu Benvenuto Cellini, morto nel 1570. Natura ricchissima, geniale e incolta, compendia in sè l’italiano di quel tempo, non modificato dalla coltura. Ci è in lui del Michelangiolo e dell’Aretino insieme fusi, o piuttosto egli è l’elemento greggio, primitivo, popolano, da cui usciva ugualmente l’Aretino e Michelangiolo.

Artista geniale e coscienzioso, l’Arte è il suo Dio, la sua moralità, la sua legge, il suo dritto. L’artista, secondo lui è superiore alla legge, e gli uomini, come Benvenuto, unici nella loro professione, non hanno ad essere obbligati alle leggi. Cerca la sua ventura di corte in corte, armato di spada e di schioppetto, e si fa ragione con le sue armi e con la lingua non meno mortale, che fora e taglia. Se incontra il suo nemico, gli tira una stoccata, e se lo ammazza suo danno; perchè li colpi non si dànno a patti. Se lo mettono prigione, gli pare uno scandalo, e gli fanno uno scellerato torto. È divoto, come una pinzochera, e superstizioso come un brigante. Crede a’ miracoli, ai diavoli, agl’incantesimi, e, quando ne ha bisogno, si ricorda di Dio e de’ Santi, e cantasalmi e orazioni, e va in pellegrinaggio. Non ha ombra di senso morale, non discernimento del bene e del male, e spesso si vanta di delitti che non ha commessi. Bugiardo, millantatore, audace, sfacciato, pettegolo, dissoluto, soverchiatore, e sotto aria d’indipendenza, servitore di chi lo paga. È contentissimo di sè, e non si tiene al di sotto di nessuno, salvo il divinis-