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Boccaccio - Tu ti diletti da ben dire.
Lisa - Mi venga la morte, se non ispasima di favellarvi.
Boccaccio - Chi è gentile, il dimostra.
Lisa - Nel vederla manderete a monte le bellezze di ogni altra... State saldo, fermatevi, e mirate il sole, la luna e le stelle, che si levano là su quell’uscio.
Boccaccio - Che brava appariscenzia!
Lisa - Il vostro giudizio ha garbo.
Boccaccio - Pur ch’io sia l’uom, ch’ella cerca. I nomi alle volte si strantendono.
Lisa - Il vostro è sì dolce che si appicca alle labbra. Eccola corrervi incontro a braccia aperte.»
Le cortigiane sono il suo tema favorito. La sua Angelica è il tipo di tutte le altre. E la sua Nanna è la maestra del genere.
Questa è la Commedia che poteva produrre quel secolo, l’ultimo atto del Decamerone, un mondo sfacciato e cinico, i cui protagonisti sono cortigiani e cortigiane, e il cui centro è la Corte di Roma, segno ai flagelli dell’uomo, che nella sua rocca di Venezia erasi assicurata l’impunità.
Secondo una tradizione popolare molto espressiva, Pietro morì di soverchio ridere, come morì Margutte, e come moriva l’Italia.
L’Ariosto, il Machiavelli, l’Aretino sono le tre forme dello spirito italiano a quel tempo: un’immaginazione serena e artistica, che si sente pura immaginazione e beffa sè stessa; un intelletto adulto che dà bando alle illusioni dell’immaginazione e del sentimento, e t’intro-